Letteratura medievale Testi

Primi documenti in lingua volgare

Indovinello veronese

Fine VIII sec. – inizio IX sec.

Il primo esempio di uso consapevole di una lingua diversa dal latino in un testo scritto è l’indovinello veronese; l’autore, un ignoto copista veneto della fine dell’VIII secolo, scrive, a margine del testo che sta copiando, questo indovinello.

Riportato a margine di un codice più antico, è la descrizione dell’atto dello scrivente da parte dello stesso amanuense. Si tratta di un indovinello comune alla letteratura tardo-latina. Alcuni studiosi lo ritengono non il primo documento in volgare italiano, bensì la testimonianza di una vase precedente del passaggio dal latino volgare al volgare italiano.

Trascrizione diplomatica


✝ separebabouesalbaprataliaaraba & albouersorioteneba

& negrosemen seminaba

✝ gratiastibiagimusomnip(oten)ssempiterned(eu)s

Interpretazione

Se pareba boves, alba pratàlia aràba
et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba

Traduzione

Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati,
e un bianco aratro teneva e un nero seme seminava

Rendiamo grazie a te, Dio onnipotente eterno

L’ultima riga, in corsivo, è ancora in latino; si tratta di una formula di ringraziamento a Dio; il testo del vero e proprio indovinello, quindi, è rappresentato dai primi due versi.

Ciò appare significativo: il copista, infatti, torna immediatamente a scegliere il latino nel momento in cui l’argomento si fa ‘ufficiale’ (il ringraziamento a Dio, appunto), confinando l’uso del volgare a un momento giocoso,leggero.

Può darsi che nell’atto di scrivere il copista abbia ideato questo paragone tra la scrittura e la semina e abbia voluto appuntarla a margine per non dimenticarla.
O potrebbe trattarsi di un momento di pausa, di attesa, in cui alleggerire il lavoro della copiatura con un giochino linguistico…

Dal punto di vista linguistico, vanno già decisamente in direzione del volgare sia la caduta delle consonanti finali delle terze persone dei verbi sia l’uso dell’accusativo dell’aggettivo negro (a rigore, nigrum).

Placito di Capua

Italia – 960

Il Placito contiene la decisione del giudice di Capua, Arechisi, chiamato a risolvere la questione del possesso di terre, rivendicate sia dagli abati del Monastero di Montecassino sia da un certo Rodelgrimo.

Il documento è quasi interamente in latino, ricco di formule giuridiche tipiche del linguaggio legale. La parte che riporta la testimonianza orale a favore degli abati, tuttavia, è trascritta dal giudice in volgare, quasi a voler sottolineare la necessità della comprensione da parte di tutti di quell’importante passaggio.

Fa parte dei quattro placiti cassinesi, ossia quattro testimonianze giurate, registrate tra il 960 e il 963, sull’appartenenza di certe terre ai monaci benedettini di Capua, Sessa Aurunca e Teano. Sono i primi documenti in volgare napoletano scritti in un linguaggio che vuole essere ufficiale e dotto. Riguardava una lite sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un piccolo feudatario locale. In questo documento tre testimoni deposero a favore dei Benedettini; di fatto le uniche parti in volgare presenti all’interno del testo.

Mentre il testo della sentenza è scritto in latino,
lingua ufficiale dei documenti e delle cancelleria, le
testimonianze sono riportate nella lingua volgare,
parlata dai testimoni. Si può dunque rilevare la consapevolezza, da parte dei compilatori, dell’esistenza di una lingua dell’uso quotidiano ormai completamente distinta dal latino.

Trascrizione diplomatica

“Sao ke kelle terre
per kelle fini que ki contene trenta anni le possette

parte Sancti Benedicti.”

Traduzione

So che quelle terre, all’interno di quei confini che le contiene, le possedettero per trent’anni i santi [monaci] benedettini.

Dal punto di vista linguistico, sono evidenti gli elementi già decisamente volgari:

  • –  l’uso della consonante k,
  • –  l’uso di trenta (in latino, triginta),
  • –  l’uso del pronome “le” (in latino illas).

La Postilla amiatina (1087)

La Postilla è in un testo, redatto dal notaio Rainerio nel 1087, che definisce una donazione terriera a favore di un monastero, fatta da tale Micciarello, soprannominato“capoduro” (caput coctu).

Ista cartula est de caput coctu Ille adiuvet de illu rebottu
Qui mal consiliu li mise in corpu Questa piccola carta è di Capocotto Quella lo aiuti contro il Maligno

Che gli mise in corpo un cattivo consiglio

La postilla (aggiunta all’atto notarile in un momento successivo) indica l’auspicio che la donazione fatta da Micciarello abbia la funzione di liberarlo dalla presenza del maligno, che in passato gli ha ispirato comportamenti negativi.

Dal punto di vista linguistico, si tratta di un testo curato, scritto in una struttura metrica non chiara, ma in rima.
Il maggiore scarto rispetto al latino tradizionale è rappresentato dall’uso di “illu”, da cui deriva l’articolo “il” in tutte le lingue romanze.

Iscrizione di San Clemente

Roma – XI sec.

Negli affreschi della Basilica Inferiore di San Clemente sono raffigurati alcuni miracoli attribuiti al santo. In uno di essi è raccontata la leggenda miracolistica del prefetto Sisinnio, che, arrabbiato a causa della conversione della propria moglie Teodora, la seguì con alcuni servitori. 

Quando la trovò

in una sala mentre assisteva ad una messa celebrata da Clemente, roso dal sospetto che la moglie avesse una relazione con il santo, ordinò l’arresto di questi, ma Dio non lo

permise rendendo ciechi Sisinnio e i servitori. Il prefetto restò cieco fino al suo ritorno a casa.
La parte dell’affresco che ci interessa rappresenta il patrizio Sisinnio nell’atto di ordinare ai suoi servi (Gosmario, Albertello e Carboncello) di legare e trascinare San Clemente, che, nel frattempo, si è trasformato in una colonna di marmo. Si leggono, come in un fumetto, delle espressioni di vario registro linguistico, la cui attribuzione è fortemente discussa. Anche in questo caso convivono il volgare parlato dai servi e da Sisinnio con chiare influenze romanesche, con il latino dotto ed ecclesiastico parlato dal Santo.
La proposta più condivisa è riportata di seguito.

Trascrizione diplomatica


Sisinium: “Fili de le pute, traite”
[Carbocellum]: “Gosmari, Albertel, traite”
[Albertel]: “Falite de retro co lo palo, Carvoncelle!”
San Clemente: “Duritiam cordis vestri, saxa traere meruistis.”

Traduzione

Sisinnio: “Figli di puttana, tirate!”
[Carboncello]: “Gosmario, Albertello, tirate!”
[Albertello]: “Carvoncello, spingi da dietro con il palo!”
San Clemente: “A causa della durezza del vostro, avete meritato di trascinare sassi.”

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