Letteratura medievale Testi

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo di Cecco Angiolieri

da Sonetti, 86

È il testo più famoso di Cecco, in cui l’autore sfoga il suo malanimo contro il mondo augurandosi di poter seminare distruzione e coinvolgendo nella sua “furia” anche i genitori, rei di non dargli abbastanza denaro per i suoi stravizi (come detto in altri sonetti). Il tono è probabilmente più scanzonato che iroso e il componimento, lungi dall’essere l’espressione di un poeta asociale e “maledetto” come parve ai critici ottocenteschi, sembra piuttosto un “divertissement” letterario in cui Cecco strizza l’occhio al lettore, come risulta anche dall’elaborazione retorica. 

Metro

Il sonetto ha schema della rima ABBA, ABBA, CDC, DCD e presenta una notevole elaborazione retorica: i primi quattro versi sono altrettanti periodi ipotetici, in ciascuno dei quali pròtasi e apòdosi corrispondono ai due emistichi dell’endecasillabo, mentre nella seconda quartina i periodi si distendono per due versi; è presente l’anafora “S’i’ fosse” ripetuta in tutto nove volte, in tutta la prima quartina, ai vv. 5 e 7 della seconda, ai vv. 9-10 della prima terzina e nel primo verso della seconda terzina (la struttura è perciò simmetrica).

Nei vv. 1-4 Cecco usa la figura della personificazione e cita tre elementi naturali (fuoco, aria, acqua) riassunti poi dall’immagine di Dio, mentre nei vv. 5-8 si identifica con le due autorità “universali” del Medioevo, il papa e l’imperatore; nei vv. 9-11 vi è l’antitesi morte… andarei / vita… fuggirei in parallelismo, mentre i termini padre / madre (anch’essi in opposizione) sono entrambi in posizione di rima, all’inizio e alla fine della terzina.

Negli ultimi due versi c’è un’ulteriore antitesi (donne giovani e leggiadre / vecchie e laidetorrei / lasserei), con struttura a chiasmo (verbo-oggetto-oggetto-verbo). L’ultima ipotesi, “S’i’ fosse Cecco”, è l’unica realistica e riporta il discorso su un piano più modesto dopo le immagini paradossali delle prime tre strofe.

Testo

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo; 
s’i’ fosse vento, lo tempesterei; 
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei; 
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo; 

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo, 
ché tutti cristïani imbrigherei; 
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei? 
A tutti mozzarei lo capo a tondo. 

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre; 
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui: 
similemente farìa da mi’ madre. 

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui, 
torrei le donne giovani e leggiadre: 
e vecchie e laide lasserei altrui. 

Parafrasi

Se fossi il fuoco, brucerei il mondo; se fossi il vento, lo colpirei con tempeste; se fossi l’acqua, lo annegherei; se fossi Dio, lo farei sprofondare;


se fossi il papa, allora sarei contento, poiché metterei nei guai tutti i cristiani; se fossi l’imperatore, sai cosa farei? Taglierei a tutti la testa di netto.


Se fossi la morte, andrei da mio padre; se fossi la vita, fuggirei da lui: farei una cosa simile con mia madre.

Se fossi Cecco, come sono e sono sempre stato, prenderei le donne giovani e belle; lascerei agli altri quelle vecchie e brutte.

Commento

  • Il testo si presenta come una burla irriverente e un gioco letterario in cui Cecco ammicca al lettore, come si deduce dal finale del sonetto: dopo aver formulato ipotesi manifestamente assurde, l’autore conclude dicendo di essere solamente Cecco e di voler ricercare i piaceri materiali della vita (prendere le donne belle e giovani), che è la sola cosa possibile quando ha denari a sufficienza (l’accenno alla agognata morte dei genitori è una spia delle sue difficoltà economiche, lamentate in altri sonetti a causa dell’avarizia del padre e della madre: Tre cose solamente).
  • Alla fine il poeta riporta il discorso sul piano banale della quotidianità e facendo in fondo dell’autoironia, in quanto dopo aver desiderato di bruciare il mondo deve accontentarsi di sedurre qualche giovane popolana, quando non è al verde.
  • Cecco si rifà qui al genere poetico dell’improperium e dell’invettiva che aveva già un illustre precedente nei Carmina burana della tradizione goliardica mediolatina, nonché vari esempi nella poesia comico-realistica in Toscana, con Rustico di Filippo e lo stesso Dante della “tenzone” con Forese Donati. La differenza è che il poeta senese non rivolge il suo attacco verbale a un avversario politico o a un interlocutore particolare, bensì all’umanità in genere e poi ai genitori, demistificando la carica polemica dei suoi versi (per quanto spesso anche l’improperium vero e proprio fosse da intendersi in senso giocoso e non sempre malevolo).

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